Sai cosa vuol dire 3P?

La risposta a questa domanda è fondamentale, non tanto per la nostra cucina, ma per il nostro morale.
Infatti non voglio parlarti delle 3P come “Pane Pasta e Pizza” ma di un modo di parlare che assumiamo con noi stessi.

Sai qual è la differenza fra pessimisti e ottimisti?

Nel loro modo di esprimersi.

Ti faccio un esempio:
Giuseppe non ha ottenuto il lavoro che desiderava e quando gli chiedo di raccontarmi come è andato il colloquio, mi risponde in questo modo:

 “Enrica, io non ho ottenuto quel lavoro perché non so vendermi. Non valgo nulla!”

Uhm..i miei sensi cominciano ad individuare sentori di 3P…

Chiedo la stessa cosa a Francesco, il quale mi risponde in questo modo:
“Enrica, altri candidati avevano un profilo migliore, può succedere…ad ogni modo sono più competente in altri settori”

Giuseppe ha personalizzato l’evento (“Io”), ha pensato che la situazione non cambierà (“non so vendermi”) e questo ha riguardato la sua persona e tutti gli ambiti della sua vita (“non valgo nulla”).
E così un evento singolo si trasforma in una legge universale e lo spinge a vedere tutto nero.

Ecco svelata la ricetta del pessimismo, le 3P:
Personale: la tendenza a considerarsi come la causa della negatività e cioè farne una questione Personale.
Permanente: la tendenza a pensare che le cose negative siano Permanenti, cioè durature.
Pervasivo: la tendenza a generalizzare la negatività e percepirla come Pervasiva di tutta la vita.

Credo che la permanenza sia il parametro più limitante perché se vediamo le cause di un’esperienza come permanenti, allora non faremo niente per cambiare.

Sei d’accordo?

Spesso sono tentata ad aggiungere un’altra P come pesante, perché ogni volta che ipotizziamo delle cause permanenti, personali e pervasive, il nostro umore si appesantisce, aumentiamo la disperazione, ci demotiviamo e diminuiamo la nostra autostima ed autoefficacia.

Spezzare questo circolo vizioso richiede attenzione e di concentrarsi sui dettagli positivi.

In che modo?
Qual è la differenza con Francesco?

Francesco ha attribuito l’evento a delle cause esterne (“altri candidati..”), le ha definite transitorie, di breve durata, ovvero temporanee (“può succedere”) ed è convinto che siano specifiche, delimitate a quella situazione, ad un solo aspetto della sua vita.

Queste modalità si riferiscono agli stili di attribuzione studiati da Martin Seligman, famoso psicologo americano che ha sviluppato la Psicologia positiva.
Secondo gli studi di Martin Seligman, la differenza principale nel modo di pensare dell’ottimista rispetto al pessimista, sarebbe nello stile attributivo, ovvero nel modo in cui valuta le cose ed interpreta le situazioni, in particolare quelle negative.

Lo stile di attribuzione può essere definito quindi come il modo in cui abitualmente spieghiamo a noi stessi perché ci accadono gli eventi

Ora ti chiedo di pensare a cosa dici a te stesso quando ti vanno male le cose..
Se non te lo ricordi, allora prova ad individuare tre situazioni spiacevoli vissute di recente.

Cosa ti sei detto?
Era più simile al linguaggio di Giuseppe o di Francesco?

A che pro? Qual è il vantaggio?

Nel tempo questo atteggiamento porta tutt’altro che vantaggi, conduce ad uno stato che si può chiamare rassegnazione acquisita.
Impariamo questo stile così tanto “bene” che diventa automatico. E rischiamo di non rendercene più conto.

Ora ti chiedo di prendere le tre situazioni precedenti.
Immagina un’altra causa, verosimile e che sia, se possibile esterna ma soprattutto transitoria e specifica.

Ricorda che nulla è personale, nulla è pervasivo e nulla è permanente.

Buon allenamento!

Enrica

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